Pensioni, lo sbaglio della Consulta e la pezza di Renzi. La strada obbligata: riequilibrare il sistema



      È una scelta sbagliata quella fatta dalla Corte Costituzionale sulle pensioni, che ha cancellato la norma che fece piangere l'ex, contestatissimo, ministro del lavoro Elsa Fornero, una norma che aveva bloccato per due anni l'adeguamento al costo della vita di tutte le pensioni sopra i 1.450 euro. L'errore non è stato quello di sottovalutare a l' impatto sui conti pubblici che ciascuno sarà chiamato a pagare. Quello che la Corte non ha visto è il conflitto tra generazioni che la scelta non ha considerato.

      Ma la Corte non fa politica. E così spetta al governo il ruolo di superare questa diseguaaglianza di trattamento tra generazioni che, sul tema delle pensioni, già da qualche anno si vede all'orizzonte. E' impossibile intervenire su un tema così delicato in poco tempo. Ed è per questo che Renzi e Padoan - che ereditano problemi provocati da altri - metteranno solo una ''pezza'' al problema: mini rimborsi tra i 278 e 754 euro, che rappresentano tra il 3 e il 25% dell'indicizzazione maturata, sono infatti solo una pezza, destinata a creare ancora più problemi. Il mini rimborso che si profila all'orizzonte provocherà infatti una valanga di ricorsi. L'unica soluzione reale sarà quella di rimettere le mani agli squilibri del sistema, per trovare un nuovo punto di equilibrio. Quando? La storia sembra già scritta: con la Legge di Stabilità. Ma l'annuncio fatto da Renzi di una maggiore flessibilità in uscita per le donne non sarà sufficiente, un pannicello caldo rispetto agli squilibri esistenti.

     La decisione della Corte Costituzionale ha mostrato come in tema di pensioni il dibattito sia sempre troppo emotivo. Sbaglia infatti anche chi dice che i giudici non hanno valutato l'impatto sui conti della loro decisone, visto che il 'pareggio di bilancio' è ora un principio costituzionale previsto dall'art.81 della Costituzione. Il riconoscimento di un diritto soggettivo non può essere sottoposto a vincoli economici. Sarebbe un dramma se fosse così. E chi lo dice non comprende che questo concetto, portato all'estrema conseguenza, consentirebbe qualsiasi limitazione di diritti primari, portando progressivamente ad una loro monetizzazione.

     L'errore fatto dai giudici costituzionali, tutti con molti anni sulle spalle, è di altro tipo. Non hanno compreso che su un tema così delicato come quello della pensione - che loro considerano un salario differito - il legislatore ha inciso già pesantemente. E non per chi sta già in pensione, ma per chi ci deve ancora andare.

      Ma la scelta, presa con una spaccatura all'interno della Consulta (tanto che è prevalsa perché in questi casi il voto del presidente vale il doppio) si è limitata a valutare staticamente un singolo diritto fuori dal contesto: quello che tutte le pensioni hanno, anche quelle non giustificate dai  contributi versati.

     Il diritto di ciascuno, un po' come per la libertà, finisce quando inizia il diritto di un'altro. Allora, parlando di 'diritto' alla pensione, cosa dovrebbero dire coloro che oggi lavorano e dovranno farlo ancora a lungo (in alcuni casi fino a 69 anni) prima di percepire la pensione? E che lo farà con 'moltiplicatori' decisamente più ridotti?

      La scelta della Corte Costituzionale diventerà così un ulteriore sassolino nella slavina di un conflitto tra generazioni che rischia di tracimare pesantemente, incrinando quella solidarietà tra giovani e anziani che mostra crepe sempre più evidenti.  Senza guardare al ‘’sistema Italia’’ nel suo complesso, la Consulta ha preso una decisione che elude un nodo che presto sfocerà in un conflitto generazionale: quello che vede lavoratori attivi con un reddito più basso di quello percepito da pensionati che hanno svolto nel passato le loro stesse mansioni.  E’ questo l’effetto di una politica di riduzione dei redditi da lavoro che, con la scusa di adeguare i redditi alla competizione internazionale, ha utilizzato tutti i metodi possibili per ridurre gli esborsi per i salari. Mentre le pensioni in essere ora non potranno essere toccate nemmeno nell'adeguamento all'inflazione.

      La Consulta, questa volta, con l’obiettivo di difendere soprattutto le pensioni a basso reddito (quelle appena sopra i 1.405 euro)  ha di fatto provocato un doppio effetto, di segno opposto: da un lato ha reso più difficili gli interventi di riequilibrio sulle pensioni, dall'altro l'ha reso ineludibile la necessità di sciogliere il nodo  del conflitto tra generazioni.

    Renzi ha finora detto  di non voler intervenire sulle pensioni e questa è stata una delle ragioni che portarono all'abbandono del commissario alla Spending Review Carlo Cottarelli. Ma appare chiaro che l'intervento sarà necessario. Glielo ricorda settimanalmente il  neo presidente Inps Boeri, che diffonde con il contagocce analisi sui singoli  settori previdenziali dai quali emerge sempre  lo stesso dato: molti di quelli che si lamentano percepiscono un mensile che non tiene conto di quanto poco hanno versato nel corso della vita lavorativa. Di fatto il peso è sostenuto dai lavoratori di oggi.

     Già perchè l’88 % delle pensioni  è ancora oggi stato calcolato con il più generoso metodo retributivo e solo il 2,8% delle pensioni versate è legato esclusivamente a quanto versato. Se si pensa che chi oggi lavora dovrà farlo ancora più a lungo e per ottenere un 'mensile' decisamente ridotto, si capisce così come la corte costituzionale del grande problema delle pensioni sia riuscito a mettere a fuoco solo un piccolo dettaglio.

     E a Renzi che resta che una strada: intervenire.

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