Jobs Act al contrario. Assumere al Sud meno conveniente di due anni fa



   (di Corrado Chiominto)

     La coperta è corta e il governo ha fatto le sue scelte. E per  chi cerca lavoro al Sud non è una buona notizia. Gli sconti contributivi previsti dalla Legge di Stabilità appena approvata al Senato e ora all’esame della Camera prevedono per chi assume al Sud meno agevolazioni non solo rispetto all’anno in corso, l’anno del debutto del Jobs Act, ma anche rispetto agli anni precedenti.

      In sintesi: dal 2016 assumere al Sud converrà meno. Meno anche di quanto previsto dal governo lacrime e sangue dell'ex premier Mario Monti. In una sorta di Jobs Act al contrario. Ed è facile prevedere che, dopo l'aumento di assunzioni che si sta registrando quest'anno, i datori di lavoro potrebbero decidere di attivare il meccanismo di licenziamento previsto dal nuovo contratto a tutele crescenti. Una coda avvelenata della crisi.

     A capirlo non ci vuole molto. Ecco come funzionano gli sconti.  Le nuove norme prevedono dal 2016 una agevolazione per le nuove assunzioni  che taglia i contributi del 40% per una soglia massima di 3.250 euro. Il governo ha annunciato infatti un decalage dell’agevolazione che quest’anno era invece pari al 100% dei contributi con una soglia massima di 8.060 euro. E nei prossimi anni caleranno ancora. Ma al Sud già prima dell’arrivo della riforma del lavoro, e quindi del contratto a tutele crescenti, era prevista una decontribuzione pari al 100% (anche per i contributi Inail) senza alcuna soglia per le assunzioni dei disoccupati da almeno 24 mesi.

       E' chiaramente una scelta miope, visto che i dati allarmanti non mancano. Gli ultimi dati Istat vedono un aumento del divario territoriale. La disoccupazione nel secondo trimestre 2015 (ultimo dato disponibile per un confronto) viaggia al 20,2% al Sud contro il 12,1% nazionale. Se si guarda ai giovani, poi, il dato è ancora più preoccupante. La disoccupazione media del 41,1% è un bilanciamento tra il tasso di disoccupazione del Nord (28,8%) e quello del Sud al 57,4%. Per le giovani donne, poi, va ancora peggio: si arriva al 61%. Se si guarda agli inattivi, i cosiddetti neet che non lavorano e non studiano, rispetto ad una media nazionale dell’1,9%, il Mezzogiorno si attesta al 2,7%.

      Che la situazione non sia rosea lo dicono anche Eurostat e Svimez. L’ufficio statistico europeo ha ‘incoronato’  il 10 ottobre scorso la Sicilia come regione europea con il più basso tasso di occupazione (42,4%) delle persone tra i 20 e i 64 anni, mentre la Puglia ha segnato il gap più grande nell’Ue tra il tasso di occupazione maschile e quello femminile (quasi 30 punti). E i piccoli segnali di ripresa – l’ultimo dato del Pil italiano indica un Mezzogiorno che dopo 7 anni di cali registra un timido +0,1% (Svimez)  rischiano di evaporare velocemente.

       Ma forse i giochi non sono ancora chiusi. E’ ancora possibile dare una nuova spinta al Sud che non passi solo attraverso i fondi europei ma anche per un impegno italiano.

     Nel passaggio parlamentare alla Camera della Legge di Stabilità i deputati dovrebbero affrontare il nodo Sud e sul tappeto c’è proprio un rafforzamento della decontribuzione per le assunzioni nelle regioni del Mezzogiorno. Ma le buone intenzioni, contenute in alcuni emendamenti presentati al Senato, si scontrano con la dura realtà di  risorse impegnate per altri motivi, dalla detassazione della casa al calo dell’Ires per le imprese. Così l’ipotesi più probabile è che si consolidi per i prossimi tre anni una decontribuzione del 40% con la soglia di 3.250 euro. Davvero pochissimo non solo rispetto al Jobs Act 2015, ma anche rispetto alle norme precedenti, norme introdotte quando i conti pubblici italiani erano ancora più in sofferenza.


     E’ una differenza di trattamento che, visto il miglioramento dei conti pubblici, fa risaltare ancora di più il fatto che si tratta di scelte tra priorità: come dire, meglio il calo della Tasi che l’aumento dell’occupazione al Sud.

       Sono scelte legittime, con una preghiera. Almeno quando escono i dati Istat o Svimez risparmiateci la retorica della frasi fatte, gli hashtag ad effetto e, soprattutto, l’invio di comunicati ricchi di belle parole che inondano i computer dei giornalisti. 

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