Primo Maggio, il Jobs Act tradito. La promessa mancata del collocamento alla tedesca e la nuova precarità dei voucher





     (di Corrado Chiominto)
 
     Perdere il posto è ancora facilissimo. Trovarne uno nuovo no. E’ questa una delle promesse tradite del Jobs Act.  Sono scomparse dai radar le norme che prevedevano l’introduzione di politiche attive, per favorire i contatti tra lavoratori e imprese sul modello tedesco. Impossibile trovare traccia del nuovo collocamento in grado di ridurre i tempi per la ricerca di un nuovo lavoro, si è perso nella retorica degli annunci ancora da attuare.

     La riforma del Jobs Act, velocissima nello smontare le rigidità del sistema per favorire l’uscita dal lavoro (l’art.18) non ha ancora messo in campo la nuova Agenzia per le Politiche attive del lavoro, l’Anpal. Sembra un vero e proprio paradosso se si guarda ai tempi previsti dalla riforma e si ricordano anche gli annunci con calendario alla mano del premier Matteo Renzi appena insediato. L’Anpal doveva entrare in vigore a partire dal primo gennaio, invece, non ci sono tracce di questo strumento che doveva servire per avvicinare l’Italia ai servizi per il lavoro offerti dalla Germania o dall’Olanda.

      La festa del Lavoro del Primo Maggio può servire per fare un bilancio sugli interventi in favore del lavoro, fuori dalla retorica. Allora non si può non fare accenno ai nuovi strumenti di precarietà, come i voucher, che – a dire il vero - il governo ha annunciato di voler correggere. Ma che, visto l’evidente abuso di questo strumento, forse dovrebbe correggere più che velocemente.. Magari con il ricorso ad un decreto che – per le sue caratteristiche di necessità ed urgenza – una volta tanto sarebbe giustificato. Un bilancio, poi, non può trascurare le minori garanzie sulla sicurezza, con l’aumento dei morti sul posto del lavoro (che poi al tema dei voucher sono un po’ collegati) e la crescita occupazionale che è ancora al lumicino.

     Il collocamento alla tedesca ‘desaparesido’: La riorganizzazione delle agenzie per l’impiego doveva essere la ‘’seconda gamba’’ del Jobs Act. Ma se ne sono perse le tracce. Dario Di Vico sul Corriere della Sera ha scritto che il caso Anpal, la nuova agenzia per le politiche attivo sul lavoro prevista dal Jobs Act, meriterebbe una puntata di ‘’Chi l’ha visto’’. Al momenti sono stati emanati gli schemi di tre decreti attuativi  - uno dei quali è servito per nominare il presidente - ma che ancora non hanno concluso tutto l’iter: sono passati al vaglio delle Camere, poi alla conferenza stato Regioni, quindi dovevano passare alla Corte dei Conti e quindi al Consiglio di Stato. Dove saranno le norme? Anche perché prima di diventare tali servirà un ulteriore passaggio al Consiglio dei Ministri.

     Eppure l’Italia in questo campo doveva recuperare un gap fortissimo e – visto lo scarso utilizzo dell’art.18 – in molti pensavano che l'Anpal sarebbe stato il vero motore del Jobs Act. Per questo erano state chieste maggiori risorse visto che, su per questi servizi per la ricerca del lavoro, secondo gli ultimi dati dell’Isfol, l'Italia impiega 8.674 persone contro le 15.834 della Germania e le 21.593 della Francia. L’Italia - dice la ricerca analizzando i dati del 2011 - spende lo 0,03 del Pil. Germania e Regno Unito dieci volte di più (0,34%) e sono a loro volta superate dalla Danimarca (0,54%). Con il risultato che per i nostri servizi pubblici per l’impiego passa il 3,1% delle assunzioni intermediate all’anno contro il 10,5% della Germania.

      I ritardi sull’Anpal sono inspiegabili anche se si pensa al fatto che, parlando di politica, l’idea del potenziamento delle politiche attive del lavoro era servita a far ingoiare alla minoranza del Pd il superamento dei diritti previsti dall’articolo 18 ma anche le norme che consentono ora un controllo a distanza del lavoratore tramite strumenti tecnologici (non solo telecamere, ma anche monitoraggio su cellulari e computer portatili dati in uso ai dipendenti).

         Il boom dei voucher, la precarietà alla ricerca di nuovi confini:  I buoni lavoro sono uno strumento di pagamento che era stato pensato per il pagamento di colf e di badanti: consentono di pagare il lavoro svolto ma anche di versare contestualmente i contributi previsti. Per la loro flessibilità d’uso hanno avuto un ‘’successo’’ che è andato ben oltre l’idea iniziale. Nel 2015 ne sono stati vendute 116,9 milioni da 10 euro, con un balzo del 66% sull’anno precedente. E la crescita aumenta ancora a ritmi del 45%.
    
      Ma lo stesso presidente dell’Inps, Tito Boeri e il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, hanno segnalato un utilizzo irregolare di questo strumento, finalizzato solo a coprire eventuali incidenti o ad evitare le contestazioni degli ispettori: come? Semplice, usandoli per pagare solo una piccola parte del lavoro in nero, attivando così garanzie evita guai. Ecco perché Poletti ha annunciato strumenti di maggiore tracciabilità, per evitare abusi. Basterebbe poco. L’ invio di un Sms al momento dell’attivazione.

      L'abuso dei voucher è un altro indicatore del gap culturale di un'Italia, fondata sul lavoro invece di aver perso l' etica di un confronto corretto su quello che è uno dei valori fondanti della nostra democrazia. E la citazione dell'articolo 1 della costituzione non è certo fuori luogo.

         Il lavoro che ancora non c’è:  La diatriba politica sembra un dialogo tra sordi. Il dubbio è: il jobs act funzioni o no? I dati statistici non danno risposte. Dopo il calo di 87 mila posti a febbraio l'Istat ha registrato una crescita di 90 mila occupati a marzo. Chiaro che questo non significa una ripresa dell’occupazione, soprattutto se si pensa alla perdita di posti registrata negli ultimi tre anni. Eppure gli sconti contributivi, anche se non massicci come lo scorso anno, ci sono ancora.
      Se si guarda all’età, poi, si scopre che la tendenza all’aumento del numero degli occupati riguarda soprattutto gli over 50: inutile dire che è l’effetto dell’allungamento dei tempi per l’andata in pensione previsto dalla Legge Fornero.

      Poco significativo, invece, è il tasso di disoccupazione: l’aumento e il calo sono dovuti, più che ad un reale passaggio al mondo del lavoro, ai flussi con la massa di ‘’inattivi’’, cioè di quelli che in questi anni hanno proprio rinunciato alla ricerca di un’occupazione e che ora si riaffacciano sul mercato ma il lavoro non lo trovano.

       Ancora troppe morti bianche: Gli ultimi dati dell’Inail segnalano un aumento del 16% degli infortuni mortali sul lavoro nel 2015, ma anche una riduzione del 14,6% nei primi tre mesi del 2016. Lo scorso anno non sono tornate a casa dal lavoro ben 1.172 persone, contro le 1009 del 2014. Quest’anno, nel primo trimestre, a morire di lavoro sono state 176 persone. Impossibile non pensare che spesso dietro questi numeri ci sono famiglie per le quali, a fianco del dolore per un affetto perduto, si apre un futuro economico davvero incerto.
     
        Il Cdm proprio il 29 aprile ha approvato lo statuto del nuovo ispettorato sul lavoro, che istituisce un’agenzia unica. Speriamo che anche questa non diventi desaparesida.

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