Ttip, braccio di ferro tra mercato e tutele, tra scambi senza confini e garanzie per la salute




    Il Ttip è la sigla che racchiude l’accordo sul commercio e sugli investimenti che oramai da molti mesi vede a confronto gli Stati Uniti e l’america. E' una sigla sconosciuta - significa Transatlantic Trade and Investment Partnership , Partenariato Transatlantico per Commercio e Investimenti -  che  trova poco spazio sui media tradizionali e potrebbe invece avere un impatto reale sulla vita di tutti i giorni.
  
     Lo scambio sul tappeto - anche se nessuno lo dice chiaramente - è tra le opportunità che darebbe l’apertura senza dazi di un mercato ampio come quello degli Stati Uniti e i rischi legati alle minori tutele di marchi originali e norme per la sicurezza alimentare, che in Italia e in Europa sono più vincolanti di quelle Usa.  Il confronto è apparentemente in alto mare e le posizioni non appaiono al momento concilianti, ma la trattativa prosegue e, a dire il vero, la Francia più che l’Italia sembra voler fronteggiare il rischio di vedere etichette con la scritta champagne sul vino prodotto in California.

     Greenpeace ha recentemente diffuso i documenti delle richieste Usa (#Ttipleaks), denunciando  ''una enorme pressione'' che ‘’gli Stati Uniti stanno esercitando sull’Eunione Europea perché abbassi le sue tutele in tema di difesa dell’ambiente, della salute e dei diritti dei cittadini’’. E c'e' una campagna alla quale partecipano circa 300 associazioni per dire no a questa trattativa (ecco le argomentazioni). L’Unione Europea ha assicurato che, anche se ciascuno avanza le proprie richieste, non è detto che accordi trovino una soluzione a metà strada. Il 13/mo round, che si è tenuto il 25 aprile, si è chiuso ancora con un nulla di fatto.  Il presidente degli Stati Uniti, Barak Obama ritiene che comunque si riesca a chiudere entro la fine di quest’anno.

      E l’Italia?  La posizione dell’Italia, che soprattutto sulla tutela della produzione alimentare potrebbe avere molto da perdere, non appare contraria. ‘’Siamo favorevoli alla chiusura del negoziato – ha spiegato il premier Matteo Renzi – e spingiamo per questo” ma “ nel rispetto di tante specificità”. Il ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina, ha parlato di ‘’opportunità, più che una fonte di problemi” e, con il crescere della protesta, ha assicurato che ''l'Italia non rinuncerà mai alla sicurezza alimentare''. Non la pensa così il leader Cgil, Susanna Camusso: ‘’e’ un trattato che calpesta i diritti dei lavoratori – ha detto – e mette a rischio la qualità dei prodotti”. Con l’accordo ha sostenuto ‘’Non si avrà più la certezza che nel lavoro valgano le regole del contratto di lavoro nazionale’’.

      “Ma insomma, è un cavallo di Troia per superare leggi su salute e ambiente o una panacea per rilanciare crescita e occupazione?” Si è chiesta Chiara Munafò in una scheda ragionata per  l’Ansa.  Nella sua scheda   che le rubo - magari non c’e’ la risposta, ma certo un filo per orientarsi tra i temi di questo sconosciuto Ttip.

   - LARGO AL LIBERO SCAMBIO - I negoziati, iniziati nel 2013, mirano ad abolire dazi per 3,6 miliardi di euro ed eliminare la duplicazione dei controlli e degli adempimenti amministrativi. Nascerebbe così una mega-area di libero scambio che riguarderebbe il 40% del commercio mondiale con benefici di 120 miliardi per l'Europa e 95 miliardi per gli Stati Uniti, secondoi promotori. Secondo i detrattori, al contrario, il Ttip metterebbe a rischio 600 mila posti di lavoro.

   - GLI INVESTITORI POTREBBERO DENUNCIARE GLI STATI - Il punto più controverso del trattato riguarda la procedura di protezione degli investimenti, con la quale le imprese potrebbero citare in giudizio gli stati per l'adozione di norme che li danneggiano. L'ipotesi iniziale era di affidare le causa a collegi arbitrari privati (gli Isds) ma, dopo la bocciatura dell'Europarlamento, Bruxelles ha proposto di istituire una Corte per gli investimenti. Il timore degli oppositori è che le multinazionali possano opporsi a ogni legge contro i loro interessi tenendo in scacco i governi (sull'esempio dei produttori di sigarette che hanno fatto causa a Uruguay e Australia per le norme anti-fumo).   Inoltre i contestatori sono contrari alla possibilità per lemultinazionali (e altri stakeholder come i sindacati) diintervenire nell'organismo di cooperazione normativa che fisserebbe le priorità per le autorità di regolamentazione.

   - I NODI SALUTE E SICUREZZA - Dai documenti svelati da Greenpeace sono emerse le pressioni americane perché l'Europa alleggerisca le tutele di sicurezza e ambientali. Su questo fronte i negoziatori europei resistono e assicurano nessuno standard - sociale, sanitario o ambientale - verrà abbassato e sarà mantenuto il principio di precauzione secondo il quale deve essere provata la non nocività dei prodotti prima di venderli.

   - LARGO AL FALSO MADE IN ITALY? - Un altro nervo scoperto, sul fronte alimentare, è la tutela delle indicazioni geografiche dei prodotti (dal Prosciutto di Parma al Chianti) richiesta dall'Ue, che ha presentato una lista di circa 200 specialità da proteggere dalla contraffazione. Gli Stati Uniti si oppongono.

   - VETI A STELLE E STRISCE - Altri niet statunitensi riguardano l'apertura del mercato degli appalti pubblici, oggi regolato Oltreoceano dal Buy American Act, e di quello dell'energia, dove è in atto la corsa allo shale gas, così come la richiesta europea di norme comuni per la finanza.  I nodi ancora da risolvere rendono necessaria "notevole flessibilità da entrambe le parti", secondo l'ultimo report Ue, per arrivare alla firma entro il 2016, come auspicato dal presidente Usa Barack Obama. Ma sulla strada di un accordo in tempi brevi si è messo il presidente francese Francois Hollande che dicendo che, al punto in cui sono i negoziati, "la Francia dice no". Se l'intesa non fosse raggiunta prima delle elezioni di Washington a novembre rischierebbe di saltare, con una nuova amministrazione Usa contraria, o di slittare verso il 2020 dopo le elezioni francesi, tedesche e italiane.

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