Economia e disuguaglianza, il premio Nobel ad Hart e Holmstrom accende il faro sui bonus dei top manager
Legare la maggiore
retribuzione di un top manager ad un solo obiettivo, come l’andamento del
titolo azionario, rischia di favorire il
solo raggiungimento di risultati a breve per un’azienda, favorendo i guadagni
di una sola persona e mettendo invece in forse un reale sviluppo della società.
E’ questo uno dei risvolti pratici della ‘’teoria dei contratti’’ grazie alla quale
Oliver Hart e Bengt Holmstrom hanno vinto quest’anno il Nobel per l’Economia, un premio che sembra voler valorizzare a chi indaga sulle diseguaglianze della nostra società.
I due economisti
hanno esaminato il funzionamento degli ‘’stipendi’’ dei vertici delle grandi
società in rapporto ai risultati ottenuti, valutando anche eventuali franchigie. Holmstrom sostiene
che gli azionisti dovrebbero disegnare un contratto ottimale per il suo
amministratore delegato, la cui azione non può esser controllata nel dettaglio.
Il contratto – sostengono - deve legare lo stipendio alle informazioni
rilevanti, valutando ‘’rischi’’ e ‘’incentivi’’. Interessante anche l’analisi dei meccanismi
utilizzati per le promozioni degli impiegati, che talvolta portano alcuni a
sfruttare il merito del lavoro degli altri (in una sorta di ‘’free riding’’).
L’accademia
delle scienze di Stoccolma conferma così l’attenzione dell’economia alle
persone e in particolare alle strategie alla base di creazione dei divari che caratterizzano il nostro mondo. Lo scorso anno il premio era andato ad Angus Deaton, un
economista che aveva indagato a lungo temi sociali, evidenziando ‘’diseguaglianze
straordinariamente profonde’’ anche in un contesto di ‘’fuga dalla povertà’’ . Deaton, rovesciando il detto veneto che “l’amor
el fa tanto ma i sghei i fa tuto”, ha anche fissato la ‘’soglia della felicità’’,
un limite oltre il quale l’aumento dei guadagni non produce alcuna
soddisfazione. Perché i top manager lo sappiano la soglia è fissata a 75mila
dollari (circa 65 mila euro) l’anno.
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