Jobs Act, Trivelle, scuola, sindacati: dietro la scissione del Pd non solo il 'calendario'
Certo il
dibattito di questi giorni all’interno del Pd lascia talvolta sconcertati e
nasconde sicuramente anche un’incompatibilità tra persone. Ma la semplificazione
giornalistica che vuole l’arrivo di una scissione per problemi di calendario o
per antipatie personali - a dirlo con un eufemismo - davvero sembra troppo ingenua. La gestione della leadership da parte di
Matteo Renzi, il suo carattere e le sgomitate di chi vuole contare di più nel partito sono certo tra gli ingredienti del dissidio in atto, ma non il solo. Anzi. I nodi – o meglio i conflitti - tra le due anime
del Partito democratico hanno riguardato soprattutto i contenuti.
Jobs act (dall’art.18
al voucher), Buona Scuola, riforma delle pensioni, referendum sulle trivelle sono solo alcuni
degli argomenti che hanno fatto discutere all’interno del Pd, per non voler poi
parlare del tema delle riforme, sia quella istituzionale sia quella elettorale. Certo una politica responsabile trova
poi una sintesi – ed è quello che è accaduto – ma spesso le posizioni sono
state contrastanti. Ecco qualche esempio
.
JOBS ACT, DA
ART.18 A VOUCHER: La riforma del mercato
del lavoro è stato tra i temi più dirompenti all’interno del Pd. La ‘’sinistra’’
interna chiedeva che il superamento dell’art.18 – cioè delle norme che regolano
i licenziamenti individuali – prevedessero non solo l’indennizzo economico ma
anche – in una delle quattro tipologie previste, anche la possibilità di
reintegro. In particolare questo era chiesto se il licenziamento disciplinare fosse poi stato
considerato illegittimo da parte del tribunale. Più recente, invece, è il
confronto su una delle tipologie contrattuali previste: quella che consente il
pagamento tramite voucher, un tema sollecitato dalla sinistra che chiede una
regolamentazione più stringente (che forse è in arrivo) per questo strumento
che ha avuto un utilizzo fuori dalle logiche del lavoro occasionale. Da
segnalare che la parte del Jobs Act che prevede politiche attive per il lavoro
non è ancora decollata (ma è servita ad ammorbidire le posizioni della
sinistra) e che alcuni temi di conflitto hanno anche riguardato le norme sul controllo a distanza dei lavoratori. Per il Jobs Act a lasciare
il Pd è stato Civati
"BUONA SCUOLA": E’ stato uno dei punti più forti del conflitto
tra minoranza e maggioranza nel Pd. La minoranza, in particolare, chiedeva di
varare un decreto per le assunzioni dei precari separandolo dalla riforma della
scuola, che non nasceva dal confronto con i sindacati. Tra i temi più
contrastati il potere molto forte riconosciuto ai presidi sia per la
valutazione dei docenti, sia per la possibilità di chiamata diretta di
lavoratori. La frattura su questi temi ha portato all’uscita di Stefano Fassina
dal Pd
PENSIONI: Prima la riforma degli ammortizzatori sociali,
che ha visto la minoranza del Pd e anche i sindacati premere per maggiori
risorse; poi l’introduzione di una maggiore flessibilità in uscita per
modificare la Legge Fornero, nel quale si sono contrapposte diverse proposte dal fronte Pd, non
proprio coincidenti. Anche i temi del welfare hanno provocato scintille all’interno
del Pd. Il problema principale è sempre stato quello delle risorse. Con una coperta troppo corta il governo ha spesso preferito allocare risorse su altri capitoli, come il calo delle tasse alle imprese o l'abolizione dell'Imu e delle Tasi sulla prima casa. L'alleggerimento della stretta voluta dalla riforma Fornero è così stato limitato. Da segnalare: alcune delle proposte alternative a quelle del
governo sono state
avanzate dal presidente della commissione lavoro della
Camera, Cesare Damiano, che – seppur da sinistra – ha scelto di rimanere nel partito.
RAPPORTO CON I SINDACATI: L’approccio seguito da Matteo Renzi nei rapporti con le forze sociali non è certo stato apprezzato dalla sinistra del Pd. Non è difficile comprendere il perché. Invece Matteo Renzi non interrotto la tradizione che vedeva una consultazione dei sindacati prima del varo della Legge di Stabilità e non li ha coinvolti – limitandosi tavolta solo ad una convocazione rapida – sugli altri progetti di riforma. Qualche cambiamento c’è però stato: ad esempio per la riforma della P.A, sulla quale è in corso un confronto con i sindacati di categoria.
REFERENDUM TRIVELLE: E’ stato uno degli ultimi temi a dividere la sinistra del Pd dalle scelte del segretario del Partito schierato per l’astensione . ‘’Astenersi è costituzionalmente corretto’’, ha detto l’allora premier Renzi, sollevando le proteste dell’anima ambientalista all'interno del suo partito, ma anche dei governatori di alcune regioni, tra cui Michele Emiliano. “Inaccettabile – aveva subito ribattuto Roberto Speranza - che sul referendum del 17 aprile il premier faccia il capo del partito dell'astensione. Pd non significa partecipazione dal basso?"
RAPPORTO CON I SINDACATI: L’approccio seguito da Matteo Renzi nei rapporti con le forze sociali non è certo stato apprezzato dalla sinistra del Pd. Non è difficile comprendere il perché. Invece Matteo Renzi non interrotto la tradizione che vedeva una consultazione dei sindacati prima del varo della Legge di Stabilità e non li ha coinvolti – limitandosi tavolta solo ad una convocazione rapida – sugli altri progetti di riforma. Qualche cambiamento c’è però stato: ad esempio per la riforma della P.A, sulla quale è in corso un confronto con i sindacati di categoria.
REFERENDUM TRIVELLE: E’ stato uno degli ultimi temi a dividere la sinistra del Pd dalle scelte del segretario del Partito schierato per l’astensione . ‘’Astenersi è costituzionalmente corretto’’, ha detto l’allora premier Renzi, sollevando le proteste dell’anima ambientalista all'interno del suo partito, ma anche dei governatori di alcune regioni, tra cui Michele Emiliano. “Inaccettabile – aveva subito ribattuto Roberto Speranza - che sul referendum del 17 aprile il premier faccia il capo del partito dell'astensione. Pd non significa partecipazione dal basso?"
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