La politica dallo sguardo corto, il Tfr in busta paga. Perché no.








               (di Corrado Chiominto)

   Il Tfr in busta paga è un po’ come prendere un antidolorifico per curare un tumore. La scelta, che con tutta probabilità il governo prenderà con la Legge di Stabilità, risolve le difficoltà a breve, ma non affronta, anzi rimanda, i problemi che in un secondo momento si presenteranno peggiori. E rischia di trasformarsi nel simbolo di una politica dalla sguardo corto. Ora lo dice anche la Banca d'Italia che in audizione alla Camera sulla Legge di Stabilità ha spiegato che "l'adesione dei lavoratori a basso reddito all'iniziativa aggrava il rischio che questi abbiano in futuro pensioni non adeguate". Lo sguardo corto, appunto.

       Dice Matteo Renzi: cosa c’è di male di dare la possibilità – non l’obbligo ma la possibilità - al lavoratore di liberare il proprio ‘Tfr’, che poi è una sorta di ‘’salario differito’’ che al momento di lasciare un posto di lavoro? Perché attendere se si ha la necessità ora?

     La risposta, un po’ come l’aspirina e il tumore, non può guardare solo all’immediato. Mettere in busta paga mensilmente 40 o 80 euro (a seconda se si sceglierà di togliere il 50 o i 100% del proprio tfr), oppure consentire di liberare queste risorse una volta l’anno salendo così a 480 960 euro, servirà certo a lenire le difficoltà che molte famiglie hanno di arrivare a fine mese. Ma non risolve il problema che è di ‘’politica dei redditi’’, con il costo della vita che – a dispetto dell’inflazione ora vicina allo zero – vede crescere le spese fisse, dalle tasse al condominio. Basta guardare cosa è accaduto con il bonus di 80 euro: è servito a rimpinguare il reddito di famiglie dal redditi medio bassi tagliando spese improduttive. Per questo ha centrato l’obiettivo, ma è arrivato insieme alla prima scadenza Tasi-Imu. Ha evitato il tracollo per molti e quindi non è servito ad alimentare i consumi.

     Con il Tfr in busta paga, invece, si attua solo una politica di anticipi. Non si affrontano il vero nodo, che e’ quello retributivo, che vede aumentare il divario tra ricchi e poveri. C’è una fascia di cittadini che la crisi ha fatto diventare ancora più povera, con un reddito familiare in calo. Alzi la mano chi non ha un parente vicino che non è – o è stato di rencente - coinvolto da riduzioni salariali attraverso il ricorso alla cassa integrazione, ad accordi di solidarietà, a prepensionamenti oppure, semplicemente, ad una riduzione forzata della parte mobile del salario (con meno trasferte, festivi, straordinari). Liberare il Tfr  ha per loro lo stesso effetto che ha l’insegna del Lotto per chi è affetto da ludopatia. Il governo così strizza l’occhio a chi preferisce bruciare le proprie risorse nel presente, senza costruire un futuro.
  
       Ma c’è di più. Questa strategia non solo dimostra la mancanza di sguardo lungo, che dovrebbe essere una delle caratteristiche di chi sa fare davvero politica. Mostra anche di avere la memoria corta. Dimentica che, proprio le scelte degli ultimi 20 anni hanno portato ad un ridimensionamento delle aspettative per la pensione.

      Al Tfr è stato assegnato il compito di ‘’tesoretto’’ utile a costruire una delle ‘’gambe’’ del sistema previdenziale, quello dei fondi pensione, per dare sostegno ad una vecchiaia con meno problemi. Chi – già fortunato – ha oggi un lavoro, quando prenderà la propria pensione vedrà drasticamente calare il proprio reddito, se non è stato previdente nell’integrarlo con un fondo pensione. La politica, quindi, aveva già scelto di utilizzare il Tfr, prevedendo la possibilità di liberarlo e destinarlo ad un fondo di categoria per le imprese con più di 50 dipendenti. Dimenticare questo, e farlo dimenticare ai cittadini, provocherà in futuro solo danni.

      Ci sono poi altri due aspetti problematici nella scelta di mettere il Tfr in busta paga.

      Il primo riguarda la ‘’sicurezza’’ del lavoratore. Il Tfr lasciato in azienda – ma per alcune categorie anche quello messo in un fondo pensione – può essere liberato in gran parte in caso di necessità: per l’acquisto di una casa (per se o per un familiare), per fronteggiare i costi di una malattia ed anche per affrontare elevati costi scolastici. Sono questi tre delle difficoltà che talvolta devono affrontare le famiglie e il Tfr è una sorta di ‘fondo rischi’ per il bilancio delle famiglie.

      Il secondo aspetto problematico tocca da vicino le imprese medio piccole, quelle che non sono obbligate a versare il Tfr in un fondo pensione e che spesso lo usano come una sorta di ‘liquidità’ per finanziare progetti e spese ad un costo inferiore rispetto ad un prestito bancario. Togliere loro queste risorse, proprio mentre la Bce sta combattendo un periodo di stretta creditizia avrebbe il solo effetto di far inchiodare ancora di più l’economia. Con tanti saluti alle promesse di una crescita - la parola più citata nei talk show politici - che appare ancora tutta in la da venire.

     Tutte queste cose il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan le sa. Ecco perché, nonostante il pressing di Renzi, non tralascia occasione per dire che si tratta di un'operazione complessa. Della quale - sia detto come gossip giornalistico - il suo ministero non sapeva nulla quando una prima indiscrezione è stata pubblicata da un quotidiano. E anche questo la dice lunga su come, in questo momento, le scelte passino solo attraverso le porte di Palazzo Chigi. Un accentramento che, in una democrazia complessa come quella italiana, non è sempre un bene.

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