Il rischio Tacabanda della riforma Pa, che rafforza i poteri del premier








        Un colpo ai piatti e uno alla grancassa mentre con le mani muove il mantice della fisarmonica, e il servo fidato lo insegue agitando il tamburello: Tacabanda suona un motivetto accantivante, simpaticamente rumoroso. Chi ha visto i Carosello degli anni ’60-’70 non può dimenticarlo, a metà tra il cantastorie e il venditore ambulante. Dalla televisione alle regole della democrazia, però, l’effetto potrebbe non essere lo stesso.

     La riforma della P.A appena approvata in via definitiva dal Senato (eccola) , dietro le più vistose novità per i cittadini (dal numero 112 per le emergenzealla fusione tra Forestali e Carabinieri, dal licenziamento possibile per i dirigenti alla unificazione delle banche dati automobilistiche)  prevede infatti il ritorno di una logica da ‘’one man band’’ per la democrazia italiana. Tra le tante misure, sposta e rafforza i poteri di indirizzo, gestione e vigilanza (ma anche ‘di portafoglio’) del Premier.


    Una riformetta non da poco, con un rischio Tacabanda dietro l'angolo. Il presidente del Consiglio potrà incidere profondamente nelle scelte delle nomine di carattere ministeriale. Passa poi dai singoli ministeri al Palazzo Chigi il ruolo di vigilanza sulle  agenzie governative, tra cui quelle strategicamente politiche come le fiscali. La Presidenza del Consiglio avrà anche un potere ‘di borsa’ nel definire il trattamento economico delle autorità indipendenti e delle risorse degli staff da attribuire ai diversi sottosegretario e vice-ministri del suo governo.  

     Palazzo Chigi avrà insomma ancora più compiti, più strumenti, più potere nelle proprie mani. Solo che non siamo a Carosello e, visto che si parla di potere effettivo, l’immagine di Tacabanda potrebbe essere fuorviante.

      Le norma introdotte di fatto modificano quella che i giuristi chiamano ‘’costituzione materiale’’. Non cambia la Carta Costituzionale che identifica l’Italia come una repubblica parlamentare, ma di fatto si concentrano nelle mani di Palazzo Chigi alcuni importanti snodi, cambiando i ‘pesi e contrappesi’ e quindi l’equilibrio della bilancia dei poteri. Uno squilibrio che non varrà solo per Renzi, ma anche per tutti gli altri futuri inquilini del palazzo di governo.

     Il ruolo della presidenza del Consiglio è di fatto già cambiato. La centralità delle scelte del premier erà già stata accentuata con Berlusconi, che portò per un periodo il ragioniere dello Stato a Palazzo Chigi, che scelse di presiedere direttamente il Cipe per l’approvazione di provvedimenti strategici, che istituì cabine di regia sulle scelte di politica economica per limitare i poteri del superministro Tremonti.

       Anche Renzi ha centralizzato molte delle proprie scelte. Un esempio? Il conflitto con l’ex commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, ha riportato le proposte dei tagli di spesa sotto l’ombrello di Renzi, con l’affidamento delle scelte ad un parlamentare-economista-consulente a lui vicino, Yoram Gutgeld.
  
    Con la riforma della P.a, la centralizzazione dei poteri del premier fa un ulteriore passo in avanti. L’articolo 8 della riforma, in uno dei suoi commi, porta sotto uno stretto coordinamento del  premier alcune importanti funzioni. E, lette in controluce, sembrano voler mandare un messaggio a ministri troppo autonomi o riottosi.  Una modifica che da più potere al premier in sei punti. Eccoli

1)  Viene prevista la modifica delle ‘’competenze regolamentari e quelle amministrative al mantenimento dell’unità d’indirizzo e alla promozione dell’attività dei ministri da parte del Presidente del Consiglio’’.  Sembra una frase lapalissiana. Ma l’accento è sul ‘’mantenimento dell’unità di indirizzo’’ e visto che si parla dei poteri ora previsti per il Presidente del Consiglio la traduzione è semplice: non si potrà svicolare dalla linea dettata dal premier

2)  La Presidenza del Consiglio avrà potere in materia di ‘’analisi, definizione e valutazione delle politiche pubbliche’’. E’ quello che attualmente fanno i singoli ministeri. Viene così centralizzata la capacità analitica che serve per fare scelte. In questo caso però la norma segue la realtà: Palazzo Chigi si è  già dotato di staff di consulenti sui singoli temi strategici, per un confronto che è possibile definire ‘dialettico’ con i ‘colleghi’ ministri.

3)  Le nomine di competenza diretta o indiretta del Governo o di singoli ministri, anche quando la legge attribuisce a quest’ultimi la responsabilità di una scelta, dovranno essere oggetto dell’esame del Consiglio dei ministri. Inutile dire, di fatto già oggi un ministro sceglie con il premier i nomi per occupare poltrone chiave, ma ora, anche per legge, dovrà concordare anche i propri collaboratori.

4)  Sarà una ‘’determinazione’’ del presidente del consiglio a fissare ‘’le risorse finanziarie destinate a uffici di diretta collaborazione dei ministri, dei vice ministri e dei sottosegretari di Stato. Le scelte dovranno tener conto ‘’alle attribuzioni e alle dimensioni dei rispettivi ministeri’’. Viene prevista una riduzione del numero del personale e trasparenza dei dati sui siti. In pratica sarà Renzi e il suo staff a tenere i cordoni della borsa dei vertici politici dei ministeri.

5)  I poteri di vigilanza delle agenzie governative, tra cui quelle fiscali come l’Agenzia delle Entrate e quella del Demanio, passano ora dai diversi ministeri alla Presidenza del Consiglio. Non è una scelta da poco

6)  E’ prevista al razionalizzazione, con eventuale soppressione,  di autorità indipendenti e degli uffici che svolgono analoghe funzioni, sovrapponendosi. Ma il governo punta anche a fissare criteri omogenei di trattamento economico tra il personale delle diverse authority e per il loro finanziamento.

     Ora spetterà ad un decreto dal ministro Marianna Madia la definizione attuativa di queste scelte.
E, a leggere in controluce nella trama dell’iter parlamentare, la strada per centralizzare ancora più poteri sul premier potrebbe non essere stata ultimata. Nel corso dell’esame della riforma in parlamento è stato presentato e poi ritirato un emendamento che dava la possibilità alla Presidenza del Consiglio di ‘bollinare’ i provedimenti del governo.

      La ‘’bollinatura’’ è l’ok che arriva dalla Ragioneria dello Stato, che in questo ha una grande autonomia, sulla copertura finanziaria prevista dai provvedimenti in Parlamento. La norma, poi ritirata, avrebbe consentito al governo di fare una sorta di ‘’autocertificazione’’ sulla correttezza contabile della norma, così come previsto dall’articolo 81 della Costituzione. In pratica si sarebbe aggirato il potere di controllo della Ragioneria (un altro di quei pesi e contrappesi della Costituzione materiale)  dando la possibilità, d’ora in poi, a qualsiasi governo di fare coperture ‘by magic’. Come si dice: potrebbe cantarsela e suonarsela da solo. Una vera e propria norma Tacabanda!!!

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