Il bonus di 80 euro che non fa miracoli e il secchio bucato delle imprese


     (di Corrado Chiominto per DentroLeCose.blogspot.it)

      Nessun dubbio. La scelta di alleggerire i conti di circa 11 milioni di lavoratori dipendenti, dando loro il bonus di 80 euro, è stata la scelta giusta, fatta al momento giusto. Non perchè avrebbe avuto un effetto miracolistico sui consumi, effetto che nemmeno il governo ha mai preventivato. Ma perchè, con l'arrivo del nuovo prelievo immobiliare sulla prima casa - che è un bene diffusissimo in Italia - ha consentito alle famiglie di reggere alle difficoltà di un anno che, basta leggere i dati su occupazione e lavoro, è stato difficilissimo per i lavoratori a basso reddito.

         Già perchè - dati alla mano - gran parte del bonus di 80 euro, servirà a pagare la nuova Tasi, più che ad alimentare i consumi. Ma il bonus rappresenta comunque una grande novità. Ha dato un aiuto economico - per la prima volta da molto tempo - ad una categoria quasi dimenticata, quella dei lavoratori dipendenti, i più fedeli col fisco, ma anche i più colpiti dalla crisi. Nelle ultime manovre gli alleggerimenti fiscali erano invece arrivati in favore delle famiglie (con l'aumento delle detrazioni per i figli a carico) e per i possessori di immobili (con la cancellazione dell'Imu prima casa nel solo 2013).

      I lavoratori, invece, da tempo immemore hanno visto lievitare il conto delle tasse pagate già solo per effetto del fiscal drag, cioè dell'impoverimento che a parità di prelievo fiscale si scarica sulla busta paga per effetto dell'inflazione. Il recupero del fiscal drag è un concetto oramai desueto.

     Il governo non ha, però, barato sugli effetti del Bonus. Renzi, che con questa decisione e l'aumento del prelievo sulle rendite finanziare ha fatto la prima manovra di sinistra da molto tempo in qua, ha certo usato la misura durante la campagna elettorale delle Europee. Ma da subito, nei documenti ufficiali, il Tesoro ha stimato un effetto quasi nulla sulla crescita. Solo uno 0,1% per quest'anno, che salirà allo 0,3% nel 2015.

     Per capire l'effetto sui consumi bisogna capire quanto vale il bonus. A regime 10 miliardi l'anno. Nel 2014 solo 6,6 miliardi dei quali - per alcuni effetti fiscali - solo 5,8 miliardi saranno incassati quest'anno. In pratica nelle tasche degli 11 milioni di lavoratori-consumatori arriveranno solo 644 milioni al mese a partire dalla fine di maggio. Quanto arriverà nelle casse dei negozianti? Non più di un miliardo. Il conto e' facile: quest'anno gli italiani dovranno ripagare la tassa comunale sulla prima casa. Non si chiama più Imu ma Tasi. La cancellazione dell'Imu valeva 4,8 miliardi. Il bonus servirà quindi a reggere la botta di una nuova tassazione sulla casa che la Banca d'Italia ha calcolato salirà del 60% rispetto allo scorso anno. Non dimentichiamoci infatti che a gennaio si è pagata la coda avvelenata della mini-Imu e che a giugno (appena presi gli 80 euro) è scattata la Tasi in circa 2.000 comuni (per gli altri arriva a metà ottobre).

      Meglio l'Irpef o l'Irap? Il governo ha fatto entrambe gli interventi. La manovra di rilancio dell'economia - che al momento non poteva che essere giocata in difesa - è a tenaglia: da una parte i lavoratori, dall'altra le attività produttive che hanno ricevuto un forte aiuto.

     Sbaglia così chi, come il 'maestro' Scalfari domenica su Repubblica, ha criticato il bonus chiedendo invece un alleggerimento per le imprese. Che come al solito piangono, ma sotto sotto incassano. Le imprese hanno preso oltre 2 miliardi dal taglio dell'Irap del 10% (ma i tecnici del senato hanno rifatto i conti e parlano di 2,5 miliardi). Risparmiamo poi circa 500 milioni di diritti camerali (ridotti dal decreto Pa). Avranno presto uno sconto di circa il 10% sulle bollette, con le norme del Dl Competitività (che vale 1,5 miliardi). E poi hanno visto estendere, sempre con quest'ultimo decreto, la possibilità di utilizzo di un meccanismo fiscale dalla sigla strana (Ace, aiuto per la crescita economica) che secondo l'Istat valeva già nel 2011 circa 1,8 miliardi. E che ora peserà ancora di più. Interessante è spiegare come funziona questo Ace: di fatto riconosce benefici fiscali per le imprese che investono su se stesse, apportando capitale sociale (o quotandosi in borsa). E' come se il fisco aiutasse una famiglia a comprare una casa più grande.

      Il vero problema è che le imprese italiane - tranne poche eccezioni che infatti finiscono sui giornali - hanno la vista cortissima. Guardano solo ai risparmi immediati, non sanno e non vogliono fare innovazione, non sanno riconoscere il valore del lavoro qualificato, preferiscono essere piccole e rispondere ad un solo padrone piuttosto che condividere oneri ed onori per affrontare unite nuove sfide.

     Così, nonostante quel che dice Scalfari, i benefici fiscali al sistema imprenditoriale sono come mettere l'acqua in un secchio dal fondo rotto. Credo che più che sconti fiscali, l'impresa italiana ha la necessità di una strategia politica. Nessuna nostalgia per il Comitato interministeriale per la politica industriale (Cipi) della prima Repubblica e nemmeno per la vecchia Iri. Ma spazi per disegnare un futuro ci sono - dalla green economy al turismo, da un'agricoltura eco-sostenibile alla creazione di reti di commercializzazione intelligenti -, vanno solo individuati e sviluppati.

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