La spiaggia di Ostia, la Belleville de' noantri



     Niente più cocomero e stereo a tutto volume. La musica è diventata intima, con cuffiette e telefonino. Sono scomparsi anche i racchettoni. In compenso un sociologo che studia i tatuaggi potrebbe impazzire. Ce ne sono di tutti i tipi. Alcuni dichiarano amore eterno...ad una squadra di calcio, altri raccontano vere e proprie storie, nemmeno fossero il ciclo di Giotto nella basilica di Assisi.  Alcuni sono ostentati, ricoprono un intero braccio. Altri, maliziosi, occhieggiano da lembo di un costume. Di certo sono interclassisti. Li sfoggiano giovani ventenni e anziani ottantenni, machos palestrati e signore col pancione.

    Era troppo tempo che mancavo dalla spiaggia libera di Castelporziano, da quello che una volta veniva definito il mare dei romani.

     Da bambino la raggiungevo con tutta la famiglia imbottigliata in una Fiat 850 rossa, con zii e cugini al seguito nella loro spernacchiante 126. Passavamo la mattina al mare e poi, tirati fuori i tavolini e l'immancabile insalata di riso, ci trasferivamo sotto la pineta, proprio dove l'incendio di sei anni fa non ha quasi più lasciato alberi. Poi ci sono tornato nelle prime gite da neopatentato, un asciugamano e via. Con scottatura di terzo grado obbligatoria a fine giornata.

    Ora il ritorno a Ostia mi sembra quasi un viaggio all'estero. Già perché, lo dico senza nostalgia alcuna, i romani sono spariti. L'ampia spiaggia sembra ora una sorta di Belleville alla Pennac. E in un pomeriggio al mare si viaggia da Oriente ad Occidente. Dal Nord al Sud del mondo.

    Ecco. Davanti a me ci sono tre coppie, con un bambino di pochi mesi. Non ho chiesto il passaporto, ma il colore dei capelli e gli zigomi marcati fanno pensare ad una gruppetto di russi. Con il bambino che passa di mano in mano, durante un'intera mattinata. Più in la, invece, si scende sul mar mediterraneo. Lui è magro, pelle non scurissima. Lei ha almeno quattro volte la sua taglia. Hanno un bambino, capelli ricci, non si ferma un attimo, una peste; ma ha paura del mare. Lo chiamano. Mohammed. Direi egiziani. Il padre segue il figlio, ma quando non riesce più a gestirlo passa il testimone alla mamma che, lo avvolge nelle sue braccione e con incredibile agilità per la sua taglia, lo porta tra le onde mentre strepita.

       Col carrellino della grattachecca e un blocco di ghiaccio da raspare - ma non era una specialità romana da gustare sul lungo Tevere - arriva invece un marocchino. O meglio due. Il secondo è un adolescente che da dietro, nascosto, spinge il carretto ben impantanato nella sabbia. Si incontrano sul bagnasciuga con un altro carretto che ondeggia con il vento, mostrando centinaia di costumi da bagno di tutte le fogge. Compagni di avventure si fermano a parlare e, sotto il sole cocente, si concedono anche loro una granita.

      Di orientali se ne vedono pochissimi. Certo c'è la cinese in maglietta bianca e borsetta con unguenti che ti chiede se vuoi un massaggio, ma nulla più. Due ombrelloni più indietro, invece, c'è un sudamericano, sguardo maya. Difficile capire da dove venga, ma appena incontra una connazionale, capelli corvini, pelle ambrata e costume alla brasiliana,  viene accennato un sensuale passo di salsa.

     I rumeni, invece, sono tanti. Li incontri al chiosco. Ma non dietro al bancone. Hanno occupato almeno quattro tavoli, ricoperti di bottiglie di birra. Sono tutti uomini. Cantano e ridono: chissà se erano così gli emigranti italiani nelle domeniche in Svizzera. Anche in piaggia è facile riconoscerli. Hanno perennemente, e con una certa disinvoltura, una bottiglietta di birra in mano. Birra e mare, un accoppiamento che non riesco a condividere.

    Gli ombrelloni cambiano e arrivano nuovi bagnanti. Due signore cinquantenni, ora un po' sfiorite ma sicuramente da giovani molto belle, continuano ad interloquire dicendo "da", "da". Più che rumene, da viso e corporatura sembrano russe. Ma potrebbero essere ucraine, e in questo momento non sono proprio due Paesi da confondere.

    Arriva un ultimo gruppo. Capelli biondi. Qualcuno ha la carnagione chiara. Altri no. Provo ad allungare l'orecchio per carpire qualche parola. L'accento è slavo. Ma la lingua no. Parlano italiano. In questa babele delle lingue vengono da diversi Paesi e l'italiano, che riappare sulla spiaggia, è a sorpresa un passe-partout per mettere in comunicazione mondi lontani.

    Metto le cuffiette dell'i-pad e cerco su youtube un disco fuori moda. Canta Vianello...''stessa spiaggia, stesso mare''.
    Ma che stai a di'.

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