La vittoria di Trump e il fallimento dei mass media che non comprendono la società (sic!)





    I mass media – quotidiani, siti, riviste, televisioni – hanno perso la capacità di comprendere la società in cui viviamo. E una credibilità sempre più in declino ha fatto perdere loro anche la capacità di incidere sull’opinione pubblica.

      La vittoria di Trump alle presidenziali Usa è un’ulteriore conferma della distanza siderale che sembra essersi aperta tra il mondo dell’informazione e la gente. Qualche anno fa, un anziano direttore del Washington Post, lo stesso giornale che con le sue inchieste tolse il velo sullo scandalo Watergate, aveva indicato quale criterio utilizzare per una notizia da prima pagina: ‘’in prima pagina va messo la notizia che avrà impatto in futuro sulla vita di tutti noi’’.  Ecco allora che la vittoria di Trump, che nessun sondaggio aveva previsto, diventa un po’ come la rinuncia a capire la direzione in cui si muove il mondo.

       I giornalisti, è vero, non sono veggenti con la palla di vetro. Ma hanno il dovere di capire e di farlo prima degli altri. Le nuove modalità di informazioni, quelle che viaggiano su Internet, sono però più attente al flusso di notizie che attira contatti e ‘’clic’’ piuttosto che all’approfondimento. E questo ha contagiato anche i quotidiani che spesso – lo misuro ogni giorno guardando a come viene raccontata la procedura delle manovre – puntano al titolo sensazionale, incapaci di comprendere quali saranno le misure che avranno impatto reale sui cittadini.

     Un esempio? Quando domenica sono stati pubblicati i 1.000 emendamenti al decreto fiscale i giornali hanno preferito inseguire il ‘’colore’’ di emendamenti che non avrebbero superato il vaglio delle ammissibilità (dagli sconti sui Tartufi al bonus per i ‘’tappeti erbosi’’) invece di capire quali misure avevano un consenso e quindi, una volta approvate, avranno impatto sui cittadini (ma l'Ansa l'ha fatto!!!).

      Colpa dei giornalisti. Si’, ma questa è una lettura che coglie solo in parte la realtà. Un’analisi più approfondita non può prescindere da un fatto incontestabile: il settore dell’informazione è in grande cambiamento, che incide sulla catena produttiva di un'industria e che non è di carta che è alla ricerca di una formula di sostenibilità economica. L’informazione di qualità costa e, con un occhio al risparmio e l’altro ai clic su internet, gli editori chiedono ai giornalisti di essere sempre più seduti in redazione, di girare meno, di rinunciare a trasferte. Si perde così quel confronto che nasce dal contatto con fatti e persone reali. Una sorta di avvitamento che porta ad avere notizie meno vero, lettori meno interessati, meno guadagni e quindi nuovi tagli.

     Una volta in redazione venivano le scolaresche. Si spiegava loro che per scrivere una ‘’breve’’, cioè una notizia di poche righe, serve talvolta molto tempo. Bisogna prima raccogliere la notizia (che nel manuale del bravo giornalista dovrebbe essere ‘’un fatto che interessa’’, e anche questo fa pensare) e poi verificarla, quindi confezionarla con la massima correttezza possibile. Ora invece un flusso incessante di informazioni arriva sul tavolo del giornalista - via mail o sui social, per telefono o guardando la tv, ora anche su whatsapp – tanto che il lavoro principale diventa la selezione. Cancellare 300 mail al giorno, vi assicuro, è irritante, rincorrere i messaggini anche di più: lobotomizza.

     Inoltre, seduti dietro una scrivania con un mondo raccontato solo da uno schermo, risulta difficile comprende se qualcosa, là fuori, sta cambiando davvero. Ci si limita a riportare le ‘’verità’’ che qualcuno racconta e il massimo della correttezza sta nell’attribuzione, cioè nel dire che qualcuno ha detto qualcosa.  Se poi la frase crea polemiche e alimenta i clic è ancora meglio.  La vera essenza del ruolo del giornalista – che dovrebbe mediare tra la realtà e il lettore, facilitando la comprensione di ciò che accade – viene così tradita. 

       E' questa la malattia del giornalismo, che non è un morbo italiano. Anzi, l'epidemia parte proprio dagli Usa. Ma questo non consola. E, come oggi è accaduto, tutti coloro che hanno speso 2 euro per comprare un quotidiano, si sono trovati in mano un prodotto troppo ricco di notizie e grafici su un voto ancora tutto da decidere. Un giornale - come dicevano una volta i vecchi cronisti per lenire la sofferenza di un 'buco', una notizia pubblicata da un altro quotidiano - buono il giorno dopo solo per incartare le uova.

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