Il lavoro vale meno, anche per i giornalisti. -15,7% in sei anni





    Il lavoro vale meno. O almeno, vogliono farlo valere meno.

     All’inizio fu la delocalizzazione verso Paesi dove il costo del lavoro è più basso, ma dove sono risibili anche le tutele per salute e libertà. Poi venne Marchionne: uscì da Confindustria e ‘rottamò’ interi stabilimenti con l’obiettivo di creare nuove società (Newco) e riassumere con contratti ‘’rinnovati’’ i lavoratori meno riottosi. Infine è arrivata  la crisi, con l’onda lunga della cassa integrazione e degli accordi di ‘’solidarietà’’ che riducono il costo del lavoro e il salario (di lavoratori che in alcuni casi continuano ‘regolamente’ a lavorare sotto la spinta del sottile ricatto di mantenere in vita il proprio posto di lavoro).

     Il calo del costo del lavoro ha riguardato un po’ tutti,talvolta in modo sottilmente invisibile. Anche la categoria alla quale appartengo, quella vituperata dei giornalisti.   I redditi dei giornalisti, certo, sono superiori alla media, con qualche sacca di privilegio (anche se io vedo più l’impegno e il sacrificio costante di molti). Ma al di fuori delle firme illustri di giornali e Tv, la categoria soffre come le altre – e in alcune aree periferiche anche di più – dei paradossi della globalizzazione, dello sguardo corto dei propri datori di lavoro, dell’incertezza legata ad una trasformazione (dall’informatizzazione ai social network) che al momento sembra non voler ripagare informazione di qualità.

      Ecco allora l’analisi dei redditi dei giornalisti, fatta per il sito della componente sindacale di Puntoeacapo, alla quale appartengo e che mi ha supportato nel mio impegno in Casagit, la cassa per l’assistenza sanitaria integrativa dei Giornalisti.
     Con una avvertenza:se il lavoro dei giornalisti vale meno, significa anche che sarà di minore qualità l’informazione che arriva ai lettori. Significa che si daranno meno spazi ad approfondimenti autonomi, ad analisi verificate sul campo, a reportage, cioè a tutta quella informazione che fa la differenza, che innerva una democrazia.


      I giornalisti sono più poveri. Il loro lavoro vale meno: in sei anni, tra riduzioni reali del reddito e maggior costo della vita, il potere di acquisto dei loro salari è stato tagliato del 15,7%. Il calcolo, che potrebbe essere di qualche utilità proprio mentre la categoria si appresta ad un rinnovo contrattuale, è possibile esaminando i dati del ‘’contributo medio’’ che colleghi attivi contrattualizzati versano alla Casagit. I conti fotografano come, gli ultimi contratti, hanno eroso le basi salariali del lavoro giornalistico.

     In sei anni, tra il 2007 e il 2013, il contributo medio versato alla Cassa dei giornalisti dai contrattualizzati (contributo che si calcola in percentuale fissa sul salario)  è diminuito,  passando da 3.123 a 3.010 euro. In maniera corrispondente il salario medio si e' ridotto, con una sforbiciata di circa 3.100 euro, pari il 3,57%. Ma nello stesso periodo il costo della vita e' aumentato. Basta utilizzare il calcolatore ‘’Rivaluta’’ sul sito dell’Istat per verificare che il calo del reddito, in rapporto al costo della vita, e’ stato ancora più alto: il potere d’acquisto ‘’medio’’ di un giornalista si e’ ridotto di 15.630 euro in sei anni, con una contrazione di valore del 15,7%.
   
    Che significa? Non solo che i giornalisti ora al lavoro guadagnano mediamente di meno, ma anche che i datori di lavoro possono utilizzarli con uno ‘’sconto’’  effettivo del 3,57% che, se paragonato al costo della vita, diventa cinque volte più alto. Il lavoro giornalistico, in un mondo che si muove, vale di meno. Le medie statistiche, come insegna Trilussa, sono sempre generiche. Non significa che il singolo reddito è calato (anche se un’occhiatina ai Cud potrebbe nascondere qualche sorpresa). Ma in questo caso serve a comprendere un contesto che è cambiato. La riduzione ''media'' è certamente dovuta anche all'uscita dalla professione, con la rottamazione legata agli ''stati di  crisi'', di  molti colleghi dai redditi più alti. Ma questa ''uscita'' di redditi non è stata compensata da aumenti per i colleghi rimasti.
    A pesare sono di certo gli ultimi rinnovi contrattuali che hanno recuperato solo in parte l'aumento del costo della vita. Ma pesano anche salari d'ingresso che, alla faccia della retorica della stabilizzazione dei precari, sono sempre più bassi e formano un mix micidiale con i nuovi meccanismi che frenano le progressioni salariali e le carriere. Ecco due dati: nel 2009, i neo assunti guadagnavano circa 24.000 euro; nel 2012, invece, il loro reddito è sceso a 18.000 euro. Per arrivare alla soglia dei 30.000 euro – che in chiave Casagit è il reddito che permette di pagare il contributo minimo – ci vogliono anni.
       Ma questo non basta. Tra il 2013 e i primi mesi del 2014 gli uffici Casagit hanno registrato ulteriori criticità sui contributi. Riguarda la parte variabile del salario, quella che serve a ripagare la ‘’specificità’’ del lavoro giornalistico: c’è un minor ricorso a straordinari, festivi, trasferte, premi di produzione (ad esempio in Rai). Sono modifiche che hanno modificato nel profondo i meccanismi salariali dei giornalisti, ben oltre i contraccolpi della crisi. Sembrerebbe, a guardare i dati, che ci sia su questi aspetti un’attenzione maniacale degli editori. E si sa, a pensar male si fa peccato ma spesso si indovina.
      Alla fine i contraccolpi non ci sono solo per i redditi dei giornalisti. Sarà più difficile mantenere in equilibrio i conti di Inpgi e Casagit. Che nel frattempo si sono fatte carico anche di altri costi della crisi, quelli che si pagano cash. Cosa intendo? Nel 2013 Casagit ha assistito gratuitamente 1.295 tra cassintegrati e disoccupati. A questi si sono aggiunti altri 1.000 colleghi ai quali i datori di lavoro non hanno versato i contributi, cercando così di fare cassa – magari momentanea perché Casagit non li mollerà per il recupero dei soldi non pagati – sulla loro salute. A questi colleghi la Casagit è ancora riuscita a mantenere la copertura sanitaria. Quanto riuscirà a farlo?

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