La censura del "bunga bunga". La Thailandia e le news sgradite, basta una parola. Appunti di viaggio


     (di Corrado Chiominto)
  
      La censura scatta quando meno te l'aspetti. È così che in Thailandia il governo nato dal colpo di Stato del 22 maggio mira a limitare i danni dell'informazione in rete. Un sito viene oscurato se parla male del Paese o per l'utilizzo di alcune parole considerate offensive. E, ad un cittadino europeo, lascia un senso di inquietudine per la sproporzione tra la 'sanzione' scelta, che limita la libertà, e i contenuti censurati. E' come se ci fosse un genitore un po' invadente, che sceglie ciò che puoi o non puoi leggere.

     "Basta una parola", mi ha spiegato la cortese assistente nella concierge di un albergo, al quale avevo chiesto di tradurmi il messaggio (che vedete riprodotto in testa al post) del Ministero dell'Informazione e delle Tecnologie per la Comunicazione. Mi ero incuriosito su un servizio di un giornalista del Daily Mail, invitato per una pizza da Renzi a Palazzo Chigi, che veniva rilanciato in un tweet del portavoce del premier italiano. Ho cercato di leggerlo. Sono stato bloccato.

       Probabilmente - lo posso intuire dal titolo - il giornalista britannico aveva fatto il paragone tra la Pizza offerta da Renzi e le cene organizzate da predecessore Berlusconi, usando la parola Bunga Bunga. Concetto che ha reso l'Italia ridicola al mondo e appare proibito nel Paese che, non senza imbarazzo, continua ad esercitare richiamo anche per il suo cosiddetto "turismo sessuale".

      Fare informazione in Thailandia non deve certo essere facile. I giornalisti, negli ultimi quindici giorni, hanno chiesto la rimozione di alcuni articoli della legge marziale che li riguarda. E ricevuto gli affettuosi consigli del generale autoproclamatosi premier, Prayut Chan-o-cha. Ha chiesto loro di aiutare il Paese impegnato nelle riforme, con un giornalismo che non evidenzi le proteste e le cose che non vanno. Ma che aiuti gli sforzi del governo per il cambiamento. Mi è sembrato allora di sentire la voce di un ministro delle finanze italiano che, qualche annetto fa, mi sollecitava a contestualizzare nel quadro europeo i difficili dati macro dell'Italia. Con il criterio - implicito - di addolcire la pillola guardando alle difficoltà di altri Paesi (ma poi a pagare sarebbero stati i cittadini italiani)

       Le notizie sono comunque difficili da fermare, anche in una dittatura 'condivisa' (già perché la maggioranza del Paese sarebbe a favore del premier uscito dal Colpo di Stato, del resto di colpi di stato ne ha avuti oltre 15 negli ultimi 80anni) come quella thailandese.

        Sui giornali thailandesi, almeno nei due stampati in lingua inglese, le proteste non sono nascoste. Anzi la vicenda dei cinque studenti universitari - arrestati e poi rilasciati, per aver fatto il saluto con le tre dita centrali della mano, emulando la protagonista del film Hanger Games con l'obiettivo di chiedere pacificamente lo svolgimento di elezioni - è stata seguita dai mass media anche nei giorni successivi, quando i giovani oppositori sono stati cacciati dall'università o quando hanno detto di essere inseguiti e di temere per la propria vita.

        Certo però i cittadini thailandesi non hanno potuto leggere il report di Human Right Watch, che segnalava, seppure con qualche miglioramento, le difficoltà per i diritti civile nel Paese che registra ancora arresti tra gli oppositori (c'è ne sarebbero circa 200 nelle carceri thai) ed ha messo al bando un libro "Un regno in crisi" dello scrittore britannico Andrew MacGregor che criticava l'amatissimo re, le cui immagini campeggiano lungo le strade in tutto il Paese. Ai giornalisti che gli chiedevano di rendere leggibile il sito, oscurato dal banner governativo, il premier - secondo,quanto riportato da un quotidiano - ha prima risposto rinviando al ministro competente. Poi ha osservato che non va bene scrivere quelle cose sulla Thailandia.

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